Le finestre ancora aperte e le tende mosse dal vento. Le stanze senza pareti e le sedie e le scrivanie con libri e quaderni ancora aperti, come se fossero stati abbandonati ma solo temporaneamente. Macerie accatastate e ruspe ferme chissà da quanto tempo. Le case vuote, le stradine deserte ed i negozi chiusi con le insegne ancora penzolanti.
E poi c'è il silenzio. Assordante. Un silenzio che fa dimenticare che al di là delle transenne la vita continua a scorrere. Eccola la zona rossa dell'Aquila, il centro storico del capoluogo abruzzese che, a quasi due anni dal terremoto, continua ad essere un luogo chiuso, transennato, una barriera che circonda monumenti e case ed il cui accesso è negato ai cittadini. Un'area della città che ha subito più delle altre i danni della scossa ma che continua inevitabilmente a portare su di sè l'immagine di quella notte.
Poche case abbattute, le vie sgombre di macerie, accatastate invece sui lati della strada a coprire un vuoto che si fa sentire ugualmente. L'impressione è quella di entrare in un quadro, tutto è fermo, ma in uno stato di desolazione ed abbandono.
E c'è da chiedersi se la colpa di tutto questo sia davvero solo della Natura.
Ma se la zona rossa appare deserta, al di là delle barriere gli aquilani riempiono le strade, girano per i vicoli del centro ritrovando il piacere di vivere quella parte dell'Aquila che ancora gli spetta.
E soprattutto combattono. Combattono per la loro città, denunciando così la lentezza e l'assenteismo di chi dovrebbe occuparsi della ricostruzione. E' proprio questo il caso del Popolo delle Carriole, movimento spontaneo nato per ripulire il centro storico. "E' nato naturalmente, senza nessuna organizzazione" - spiega Anna Barile, rappresentante del gruppo - "Non so quale sia stato il motivo o lo stimolo in grado di unire improvvisamente così tante persone: anziani, giovani, bambini, donne e uomini, di destra e sinistra. Però vedere la città, in cui hai scelto di vivere, abbandonata..." Qui Anna si ferma e gli occhi le diventano lucidi. E pensare che non è neanche dell'Aquila, nata a Roma vive qui da 20 anni con il suo compagno. Prima del terremoto abitava in città, dopo il 6 aprile la sua casa fu classificata E (edifici più danneggiati) e le venne assegnato un alloggio del Progetto CASE a Camarda, ad 11 chilometri dal centro, dove abita con il compagno e la suocera.
Del Popolo delle Carriole Anna parla con soddisfazione, aggiungendo però che "chi avrebbe dovuto prendersi davvero cura di una città terremotata non l'ha fatto. Questo ci ha spinto ad incontrarci una domenica, senza pensare a quante persone ci sarebbero state, e cominciare a portar via con le carriole un mattone per volta. Sarà anche poco, ma intanto è una spinta, se non si comincia non si finisce mai." Dunque dopo un anno di "torpore soporifero e deleterio che ha mandato in depressione tante persone, abbiamo avuto uno scatto di dignità."
Un'iniziativa, quella del Popolo, che avrebbe dovuto rendere orgogliosi cittadini, amministrazione ed istituzioni. Invece non è andata proprio così, e forse il motivo non è difficile da comprendere. "Peccato non essere riusciti a trovare il modo di rafforzare il movimento. Anche se credo che qualcuno ne abbia avuto paura. Perchè una cosa così non la fermi neanche con l'esercito. Quando la gente è determinata si può abbattere qualsiasi barriera. Io ho visto anziani che non si reggevano in piedi, eppure avevano una forza incredibile nell'alzare le transenne. Hanno avuto paura che l'operato delle nostre istituzioni fosse messo in cattiva luce." Così il movimento ha subito prima il sequestro delle carriole, poi la polizia ha effettuato alcuni sgomberi ed infine non sono mancati gli avvisi di garanzia per manifestazioni non autorizzate. Tutto questo mentre i cittadini cercavano di pulire la città dalle macerie.
Un piccolo traguardo però è stato raggiunto: dopo più di un anno di lettere e richieste di ogni tipo per ottenere un piccolo spazio dove riunirsi, il Popolo delle Carriole ha indetto di forza un'assemblea nella sede del Comune ed in quell'occasione gli è stato concesso un ex tendone dei vigili del fuoco. "Ora lo stiamo allestendo. Siamo pochi, ma abbiamo lo zoccolo duro dei resistenti e ci stiamo organizzando per ripulire il Torrione. Lì ci sono macerie ma anche tanta immondizia."
E poi c'è il silenzio. Assordante. Un silenzio che fa dimenticare che al di là delle transenne la vita continua a scorrere. Eccola la zona rossa dell'Aquila, il centro storico del capoluogo abruzzese che, a quasi due anni dal terremoto, continua ad essere un luogo chiuso, transennato, una barriera che circonda monumenti e case ed il cui accesso è negato ai cittadini. Un'area della città che ha subito più delle altre i danni della scossa ma che continua inevitabilmente a portare su di sè l'immagine di quella notte.
Poche case abbattute, le vie sgombre di macerie, accatastate invece sui lati della strada a coprire un vuoto che si fa sentire ugualmente. L'impressione è quella di entrare in un quadro, tutto è fermo, ma in uno stato di desolazione ed abbandono.
E c'è da chiedersi se la colpa di tutto questo sia davvero solo della Natura.
Ma se la zona rossa appare deserta, al di là delle barriere gli aquilani riempiono le strade, girano per i vicoli del centro ritrovando il piacere di vivere quella parte dell'Aquila che ancora gli spetta.
E soprattutto combattono. Combattono per la loro città, denunciando così la lentezza e l'assenteismo di chi dovrebbe occuparsi della ricostruzione. E' proprio questo il caso del Popolo delle Carriole, movimento spontaneo nato per ripulire il centro storico. "E' nato naturalmente, senza nessuna organizzazione" - spiega Anna Barile, rappresentante del gruppo - "Non so quale sia stato il motivo o lo stimolo in grado di unire improvvisamente così tante persone: anziani, giovani, bambini, donne e uomini, di destra e sinistra. Però vedere la città, in cui hai scelto di vivere, abbandonata..." Qui Anna si ferma e gli occhi le diventano lucidi. E pensare che non è neanche dell'Aquila, nata a Roma vive qui da 20 anni con il suo compagno. Prima del terremoto abitava in città, dopo il 6 aprile la sua casa fu classificata E (edifici più danneggiati) e le venne assegnato un alloggio del Progetto CASE a Camarda, ad 11 chilometri dal centro, dove abita con il compagno e la suocera.
Del Popolo delle Carriole Anna parla con soddisfazione, aggiungendo però che "chi avrebbe dovuto prendersi davvero cura di una città terremotata non l'ha fatto. Questo ci ha spinto ad incontrarci una domenica, senza pensare a quante persone ci sarebbero state, e cominciare a portar via con le carriole un mattone per volta. Sarà anche poco, ma intanto è una spinta, se non si comincia non si finisce mai." Dunque dopo un anno di "torpore soporifero e deleterio che ha mandato in depressione tante persone, abbiamo avuto uno scatto di dignità."
Un'iniziativa, quella del Popolo, che avrebbe dovuto rendere orgogliosi cittadini, amministrazione ed istituzioni. Invece non è andata proprio così, e forse il motivo non è difficile da comprendere. "Peccato non essere riusciti a trovare il modo di rafforzare il movimento. Anche se credo che qualcuno ne abbia avuto paura. Perchè una cosa così non la fermi neanche con l'esercito. Quando la gente è determinata si può abbattere qualsiasi barriera. Io ho visto anziani che non si reggevano in piedi, eppure avevano una forza incredibile nell'alzare le transenne. Hanno avuto paura che l'operato delle nostre istituzioni fosse messo in cattiva luce." Così il movimento ha subito prima il sequestro delle carriole, poi la polizia ha effettuato alcuni sgomberi ed infine non sono mancati gli avvisi di garanzia per manifestazioni non autorizzate. Tutto questo mentre i cittadini cercavano di pulire la città dalle macerie.
Un piccolo traguardo però è stato raggiunto: dopo più di un anno di lettere e richieste di ogni tipo per ottenere un piccolo spazio dove riunirsi, il Popolo delle Carriole ha indetto di forza un'assemblea nella sede del Comune ed in quell'occasione gli è stato concesso un ex tendone dei vigili del fuoco. "Ora lo stiamo allestendo. Siamo pochi, ma abbiamo lo zoccolo duro dei resistenti e ci stiamo organizzando per ripulire il Torrione. Lì ci sono macerie ma anche tanta immondizia."
Chiara Monaco